La vita e altri giochi di squadra by Candido Cannavò

La vita e altri giochi di squadra by Candido Cannavò

autore:Candido Cannavò [Cannavó, Candido]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2011-03-14T23:00:00+00:00


Tra tanto crudo dolore, una scena di vergogna

Lo rivelo così, bello come tutti i campioni olimpici che ci sembrano eroi, stracolmo di vita, con quella medaglia d’oro immersa nella sua felicità. Era poco più che un ragazzo, quando i Giochi di Barcellona lo incoronarono. Nella calura di uno studio televisivo dovevamo commentare insieme la grande emozione. Ma per lui ogni parola era di troppo: parlavano i suoi occhi, parlava l’orgoglio dei genitori, parlava lo sguardo innamorato della ragazza che sarebbe diventata sua moglie e che gli ha dato – due mesi fa – la fuggevole gioia di essere padre.

Lo rivedo nel suo giorno più intenso, così come lo conobbi e lo descrissi in quelle Olimpiadi che ogni quattro anni segnano la nostra vita. Ma davanti a me c’è adesso una foto crudele: Fabio Casartelli ha la testa ripiegata in una pozza di sangue, si capisce che la vita gli scivola via con una fretta spietata. Sta morendo, a venticinque anni. Poco dopo ci sarà l’annuncio. Il dolore strozza in gola la voce di due vecchi amici, De Zan e Adorni, e i loro singhiozzi sono anche i nostri. Non abbandonano il microfono, affrontano coraggiosamente ore dolorose per raccontare il nulla che resta di una tappa leggendaria. Il ciclismo è un piccolo mondo dove, come nei vecchi borghi, tutti sono parenti. Se c’è un lutto, è un lutto di tutti. La corsa non ha più senso, ma il Tour continua portandosi dietro la sua tragedia.

Adesso per non offendere la memoria di quel ragazzo e lo strazio dei suoi cari bisogna avere la forza dell’onestà. Non istruiamo processi, non cerchiamo colpevoli. Il ciclismo è dalla sua nascita un’ardua professione di vita. Nessun mezzo tecnico lo ha snaturato. Nessuna caccia al business o allo spettacolo lo ha reso più pericoloso di quanto non fosse ai tempi dei pionieri, delle bici con le gomme piene e delle strade sterrate. Connaturata al ciclismo c’è, da sempre, una dose di rischio. Chi fa delle corse la sua professione lo sa benissimo. E quando si lancia in una discesa, con casco o senza, conosce i brividi che lo attendono. Tutte le sere al Giro noi abbiamo Qualcuno lassù da ringraziare.

Il ciclismo ogni tanto ci ruba la vita. Magari banalmente, a tradimento. Vissi da vicino la tragedia dello spagnolo Santiesteban alla periferia di Catania nella prima tappa del Giro del 1976. Cadde e picchió la testa contro un guard-rail. Non c’era nessuna bagarre. La città siciliana lo pianse come un figlio, in cinquemila al Duomo per il suo funerale.

Ieri la mitica tappa del Tourmalet era al suo preludio agonistico, al momento dell’agguato. Una caduta come tante: alcuni corridori appena sbucciati, la testa di Fabio contro un blocco di granito. Tutto sembra irreale, ma non c’è una colpa. C’è solo un’immensa e stupida tragedia senza ragioni, come tante se ne compiono ogni giorno nell’anonimato delle strade.

C’è chi dice che il Tour avrebbe dovuto fermarsi per rispetto al suo soldato caduto. Ogni opinione è rispettabile, ma il ciclismo si è



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